Vi è mai capitato che la miglior IPA mai prodotta in vita vostra abbia avuto una curva di crescita di aroma esponenziale, arrivando all’apice dopo qualche settimana dall’imbottigliamento e sia poi calata inesorabilmente entro uno o due mesi al massimo, diventando al terzo mese quasi lo spettro di quella che era, perdendo aroma e con il caramello del malto che sovrasta pian piano il luppolo anche al gusto?

Vi è mai capitato che la vostra birra chiara cambi sfumatura di colore, passando dal giallo paglierino al rosaceo o addirittura ad avere ombreggiature di grigio?

Vi è mai capitato che la vostra Pilsner perfetta, dopo poche settimane prenda aroma di cartone bagnato o sapore metallico?

Ecco, tutto questo è dovuto (anche) all’ossidazione.

MALEDETTA OSSIDAZIONE!

Quando un homebrewer produce la propria birra, la travasa e poi la imbottiglia e tappa, seppur con la più minuziosa cura nei dettagli, inevitabilmente espone il proprio prodotto all’ossigeno, che rimane poi anche in bottiglia (sebbene il lievito, lavorando, lo riassorba in parte e produca CO2, cosa che va a rallentare il processo ossidativo).

QUA potete trovare un articolo molto completo che analizza tutte le fasi nelle quali la nostra birra può incamerare ossigeno.

FERMENTAZIONE ISOBARICA E CONTROPRESSIONE

Già da qualche anno, sempre più birrifici stanno adattando i propri impianti per evitare completamente l’esposizione delle proprie produzioni all’ossigeno (QUA un articolo e un video che testimoniano come Hammer, vincitore di birra dell’anno per la seconda volta consecutiva, si fosse adeguato già nel 2015), passando a metodi di fermentazione isobarica ed imbottigliamento in contropressione.

A livello casalingo è possibile condurre una fermentazione in assenza di ossigeno, fermentando all’interno di un fusto o di un fermentatore appositamente studiato per mantenere la pressione e in cui la CO2 prodotta in fermentazione andrà a saturare lo spazio vuoto e a carbonare la birra prodotta. E’ possibile poi trasferire la birra in un fusto in pressione e spinare direttamente da li, eliminando completamente i problemi di ossidazione. E’ anche possibile imbottigliare cercando di limitare al massimo l’esposizione all’ossigeno, spurgandolo, saturando la bottiglia di CO2, riempiendo di birra e poi tappando nel più breve tempo possibile.

PRO E CONTRO DELL’IMBOTTIGLIAMENTO IN CONTROPRESSIONE

Partiamo dagli aspetti negativi:

  • Necessità di acquistare parecchia attrezzatura dedicata
  • Necessità di autocostruirsi una colonna per l’imbottigliamento
  • Richiede pratica e calcoli ben precisi
  • Pratiche di imbottigliamento macchinose (soprattutto le prime volte)

 

E ora quelli positivi:

  • Ossidazione ridotta al minimo
  • Carbonazione forzata in fusto, quindi più precisa
  • Fondo di lievito in bottiglia praticamente nullo
  • Birra carbonata e pronta da bere sin da subito
  • Necessità di sanitizzare e pulire meno materiale

 

Se fino a qualche anno fa era impensabile per un homebrewer cimentarsi in questa tecnica, oggi è relativamente facile ed il costo non è così eccessivo come sembra (o comunque il materiale che acquisteremo potrà poi essere riutilizzato quasi tutto anche in altri ambiti, come infustamento e spillatura). Già da tempo esiste un progettino DIY (bisogna essere iscritti a BYO per poter visualizzare la pagina) per costruirsi una “pistola per imbottigliamento in contropressione” ed ora è facilissimo trovarla già costruita ad un prezzo molto allettante (cosa che consiglio in quanto il costo dei singoli componenti supera quello della pistola finita).

Quello che ancora manca è una struttura già pronta per reggere la pistola durante l’imbottigliamento (indispensabile, perché fare tutto tenendo la pistola sospesa per aria è assolutamente impensabile, come si può vedere QUA). Sarà quindi necessario aguzzare l’ingegno e costruirsi qualcosa da se, ma una volta che avremo la nostra struttura, sarà possibile imbottigliare senza problemi, solamente spostando un paio di rubinetti nella giusta sequenza.

 

Un importante aspetto da considerare è che se non si espelle completamente l’aria dalla bottiglia (vedremo come) prima di saturarla di CO2 e se non si tappa immediatamente “sulla schiuma” dopo averla  riempita, potrebbe rimanere ossigeno in bottiglia. Dato che con questo metodo non ci sarà una rifermentazione ad opera del lievito, come invece succede con l’imbottigliamento classico, l’eventuale ossigeno rimarrà in soluzione, portando la birra ad ossidarsi immediatamente, quindi subiremo l’effetto contrario. Anzichè avere birre prive di ossidazione, le avremo completamente ossidate in pochi giorni.

 

COME SI FA?

DOVE FERMENTARE

Innanzitutto è bene partire dallo scegliere come e dove vogliamo fermentare la nostra birra.

Come ho detto esistono fermentatori adatti a lavorare in pressione, come i famosi “Unitank” della SS Brewtech o, per restare su prezzi più “umani”, il “Fermentasaurus” da 35 Litri di FastFerment (con il kit per la fermentazione in pressione, venduto separatamente. Sono in arrivo durante l’anno altri formati, uno più piccolo da 27 Litri e uno più grande da 50) che, essendo in plastica alimentare, costa molto meno, ma che fa egualmente il suo dovere.

L’alternativa, più semplice ed economica, è quella di condurre la fermentazione (o almeno la seconda parte di essa) direttamente in uno o più fusti da spillatura Cornelius Keg da 19 litri.

consiglio di cercare sul mercatino homebrewing di Facebook, si trovano a circa 30 euro l’uno usati. Una passata di soda e peracetico, controllo ed eventualmente sostituzione di guarnizioni, raccordi e tubi e tornano perfetti; oppure si possono trovare nuovi ad un centinaio di euro.

Il Corny Keg ha un ampio oblò con tappo estraibile alla sua sommità, il che ne facilita l’ispezione e la pulizia una volta terminato l’utilizzo. In questo caso, è bene tenere presente che la birra, fermentando, creerà un sedimento sul fondo del fusto. Questi keg hanno, collegato al connettore dell’uscita della birra, un lungo tubo, che arriva al fondo, per assicurare il pescaggio anche degli ultimi litri. Nel nostro caso, per evitare di aspirare il sedimento di lievito, è bene tagliare gli ultimi centimetri di tubo (o meglio ancora se si acquista un tubo di ricambio, in modo da averne uno intero ed uno tagliato, da sostituire a seconda dell’uso che si deve fare del fusto).

L’alternativa (che consiglio) è “copiare” il sistema del tubo del liquido del Fermentasaurus, che consiste in una sfera di acciaio (vuota internamente, quindi galleggiante), collegata ad un tubo di silicone (Link per l’acquisto a fondo guida).

In questo caso si andrà a smontare il lungo tubo del liquido e lo si sostituirà con uno più corto da gas. Ad esso, una volta montato, si andrà ad inserire il tubo in silicone e, dalla parte opposta, la sfera galleggiante. In questo modo sarà possibile pescare sempre dalla cima del liquido (dato che la sfera farà galleggiare l’altra estremità del tubo) anzichè dal fondo. Tecnica utilissima anche, come vedremo, in caso si faccia dryhop con pellet libero in fusto.

 

COME CARBONARE

Come abbiamo detto, uno dei vantaggi di questa tecnica è la possibilità di fare carbonazione forzata direttamente in fusto. Le tecniche sono varie e dipendono anche dal tipo di fermentatore scelto e dalla birra che stiamo producendo.

CARBONAZIONE CON ZUCCHERO

CO2 E TEMPERATURA

Prima di prendere in esame gli altri metodi di carbonazione è necessario introdurre un altro concetto, che in realtà già utilizziamo, consciamente o non, quando facciamo il calcolo della quantità di zucchero da mettere in bottiglia con le formule classiche, la solubilità della CO2 nella birra in relazione alla temperatura.

Più la birra è fredda e più la CO2 si discioglierà in essa. E’ quindi facile capire che per effettuare una carbonazione forzata è sempre consigliabile portare PRIMA la birra ad una temperatura di winterizzazione (sui 2/4 gradi). Ma come facciamo a sapere quanta pressione immettere per ottenere i giusti volumi? Ci vengono in aiuto dei calcolatori e delle tabelle.

Calcolatore Crockett Brewing

Tabella carbonazione forzata

Prendendo in esame il calcolatore, a fondo pagina troviamo 3 campi: volumi, temperatura e pressione. Scegliamo quale valore vogliamo calcolare (nel nostro caso pressione) e poi inseriamo i volumi desiderati (a seconda dello stile, trovate la tabella con tutti gli stili QUA) e la temperatura, poi premiamo “calculate” e il calcolatore ci darà il giusto valore di pressione (in psi) da settare sul manometro della bombola.

Se preferite utilizzare i Bar come unità di misura, trovate QUA un convertitore.

IMPORTANTE: utilizzare il punto e non la virgola, altrimenti il calcolatore non funzionerà nella maniera corretta.

CARBONAZIONE IN FERMENTAZIONE

Il primo metodo è la carbonazione naturale in fermentazione. Come sappiamo, fermentando il lievito produce CO2. Solitamente si applica un gorgogliatore al fermentatore, per permettere all’anidride carbonica di uscire e volatilizzarsi in aria (una volta che lo spazio vuoto all’interno del fermentatore è saturo, la CO2 prodotta esce facendosi strada tra il liquido del gorgogliatore, creando la classica bolla, pareggiando la pressione interna al fusto con quella dell’aria esterna). Se vogliamo carbonare la nostra birra in fusto, dobbiamo bloccare parte dell’anidride carbonica prodotta, impedendole di uscire. Essa quindi andrà in soluzione nel liquido, almeno fino a quando il livello di pressione interna non sarà al valore da noi desiderato. Per farlo esistono delle valvole, chiamate “valvole di spunding” o “valvole limitatrici di pressione”, che hanno un regolatore a vite. Alcune (ad esempio la SSpunding di SS Brewtech) hanno il valore di riferimento segnato sul corpo della vite, altre invece (ad esempio le classiche economiche con attacco Jolly) sono più spartane e devono essere settate facendo delle prove, ma sono ugualmente valide. Ad esempio si può chiudere tutta la valvola e lasciare fermentare il lievito finchè la pressione non è superiore al valore prestabilito, una volta al di sopra apriamo piano piano la valvola per farla sfiatare, fermandoci quando siamo al valore desiderato. Da qui in poi, tutta la CO2 in eccesso verrà espulsa, mantenendo la carbonazione interna nel fusto.

Controllare sempre che sia presente una valvola di sicurezza sul keg o sul fermentatore, che si apre automaticamente al di sopra di una certa pressione (sui cornelius keg, ad esempio, è sul tappo dell’oblò) per evitare spiacevoli esplosioni.

CARBONAZIONE FORZATA

Il secondo metodo per poter gasare la nostra birra è introdurre CO2 tramite la bombola (carbonazione forzata) dopo la fine della fermentazione. In questo caso è necessario portare la birra (ad FG raggiunta) a temperatura di winterizzazione (come abbiamo detto precedentemente, più bassa è la temperatura, più il liquido incamererà facilmente il gas) e poi collegare la bombola al keg tramite connettore jolly e settare il valore richiesto sul manometro (calcolato in base al calcolatore o alla tabella di cui sopra).

In questo caso andremo a collegare il connettore Jolly proveniente dalla bombola all’attacco del liquido e non a quello del gas, in quanto vogliamo facilitare la CO2 immessa ad andare in soluzione nel liquido.

A questo punto vi sono nuovamente tre alternative:

 

CARBONAZIONE FORZATA “LENTA” CLASSICA

  • Attendere 5/10 giorni in modo che la CO2 si disciolga naturalmente nel liquido

Il metodo più semplice, ma anche più lungo, perchè prevede appunto l’attesa di qualche giorno prima che la birra sia correttamente carbonata. Senza attendere questo tempo si rischia che la CO2 non sia completamente disciolta come si deve e che la birra esca meno carbonata di quanto calcolato e previsto. Si attacca la bombola (preferibilmente al connettore del liquido) si setta al valore desiderato e la si lascia 1 settimana circa. Pur essendo il metodo più lento, ovviamente è anche quello che ci permette di mantenere la birra ferma al freddo per più tempo, quindi in ogni caso avremo maggior sedimentazione ed una birra in bottiglia più limpida.

Anche questa volta Brewfather ci viene in aiuto, con il pratico tool (sempre alla sezione “Fermenting” del “Batch”) dove ci dirà quanta pressione applicare, per quanto tempo e a quanti gradi tenere la birra (selezionare “Keg (Force)” dal menu a tendina).

 

CARBONAZIONE FORZATA “VELOCE” CON PIETRA INOX

  • Dotarsi di tappo per il fusto con attacco jolly, tubo di silicone e pietra inox.
  • Anche in questo caso si immette CO2 dalla bombola e poi si attende. Analogamente a quanto si fa con l’ossigeno in fase di ossigenazione prima dell’inoculo, la pietra inox, grazie alla sua superficie a micropori, riesce a far disciogliere l’anidride carbonica nella birra in maniera molto migliore rispetto alla normale saturazione tramite tubo libero. Questa tecnica consente di abbreviare (teoricamente solo a qualche ora) i tempi di attesa tra la carbonazione e l’imbottigliamento. In questo caso, per far assorbire correttamente gran parte della CO2 dal liquido, è bene partire a carbonare portando il regolatore inizialmente a 1-2 psi, poi lasciar riposare per circa 3-5 minuti in modo che il fusto inizi ad assorbire. Solo in seguito aumentare gradualmente di 1-2 psi alla volta, fino ad arrivare al valore di carbonazione stabilito, attendendo sempre 3-5 minuti tra una regolazione e l’altra. Uno step opzionale in più può essere quello di tirare la valvola di sicurezza in cima al fusto 2-4 volte dopo ogni incremento di psi, in modo da ridurre la pressione sullo spazio vuoto in testa al fusto e consentire alla bombola di immettere altra anidride carbonica attraverso i micropori della pietra. Si consiglia di attendere sempre qualche giorno per avere la certezza di aver raggiunto il giusto livello di carbonazione.

Ricordo che la pietra inox è molto delicata, andrebbe toccata con le mani nude il meno possibile per non lasciare che l’oleosità naturale della pelle possa occluderne i micropori. E’ anche, purtroppo, un ottimo ambiente per la proliferazione di microbi e batteri, quindi è sempre bene farla bollire una quindicina di minuti prima dell’utilizzo. E’ anche consono conservarla chiusa in un sacchetto sigillato, o ancora meglio in un vasetto immersa in alcol puro al 95%. 

 

CARBONAZIONE FORZATA “VELOCE” PER SCUOTIMENTO

  • Saturare il fusto e poi staccarlo e continuare a muoverlo per una trentina di minuti almeno

Il metodo più “faticoso”, perchè richiede di muovere continuamente il fusto, ma anche il più veloce.

A birra molto fredda (2 gradi), attaccare la bombola al connettore del gas, ma questa volta settare la pressione a 25-30 psi (una maggiore pressione ovviamente aiuta a carbonare più in fretta il keg). Una volta che la bombola è satura e non sentiamo più il rumore del gas che entra, chiudere la valvola della bombola e staccare l’attacco Jolly (questo per evitare che il liquido vada nella via del gas).

A questo punto è necessario scuotere il fusto per accelerare l’assorbimento della CO2 da parte del liquido. E’ possibile farlo in vari modi:

Il più semplice e meno faticoso è sedendosi su una sedia, appoggiando il fusto sulle ginocchia e muovendolo da una gamba all’altra, come se si stesse cullando un pargolo (Consiglio di chiudere la porta a chiave perchè dovesse entrare la vostra compagna e vi dovesse vedere cullare un fusto potrebbe pensare male, ve lo assicuro ahaha).

Un altro modo è quello di far rotolare il fusto a terra, oppure di farlo roteare prendendolo per i 2 manici.

Scuoterlo per un minuto e oltre e poi fermarsi e riattaccare il connettore del gas, per saturarlo nuovamente a 25-30 psi fino a quando non si sentirà più il rumore del gas che entra nel fusto.

Ripetere questi passaggi fino a quando lo riterrete necessario e poi lasciare riposare, riattaccando la bombola al fusto, ma abbassando il valore del manometro ai volumi desiderati, per far stabilizzare il fusto ed evitare il rischio di sovracarbonare.

 

STOCCAGGIO DELLA BIRRA

Una volta che la nostra birra è fermentata, carbonata e a temperatura di winterizzazione (2-4 gradi), possiamo decidere come “stoccarla”, quindi se imbottigliarla o infustarla.

Io ho acquistato un Growler da 3,6 litri con il kit per spinare con cartuccia di CO2 e l’idea è di fare un fusto e imbottigliare il resto, almeno per queste prime prove.

TRASFERIMENTO IN FUSTO (BIRRA CARBONATA)

Per infustare la birra è sufficiente saturare di CO2 (alla stessa pressione del fusto di origine) un secondo keg (ovviamente sanitizzato), effettuando prima uno spurgo.

Per “spurgo” si intende eliminare l’aria presente nel fusto, per avere la certezza che vi sia solo CO2 e non ossigeno. Per farlo è sufficiente collegare la bombola all’ingresso del gas del keg, aprire il regolatore sino a quando il fusto non è saturo e poi aprire la valvola di sicurezza del fusto (quella sul coperchio) per depressurizzarlo. Ripetere l’operazione un altro paio di volte. Dato che la CO2 è più pesante, si posizionerà nella parte bassa del fusto, mandando l’aria (e quindi l’ossigeno, che vogliamo eliminare) fuori dalla valvola di sfogo.

Aprire il rubinetto della bombola di CO2 e settarla alla pressione della birra, collegarla poi con un tubo e un attacco jolly grigio (raccordo CO2) all’ingresso della linea gas del fusto di origine.

Preparare un tubo con 2 attacchi jolly per il prodotto alle due estremità (raccordi neri) e collegarlo prima al fusto di destinazione e poi a quello di origine (inversamente uscirà birra e faremo un macello).

Essendo i due fusti alla stessa pressione, in questa condizione la birra dovrebbe rimanere ferma. Per farla muovere è sufficiente inserire al connettore del gas del fusto di destinazione una valvola di spunding, aprendola fino a quando non si sentirà uscire un filo di pressione. In questo modo la birra entrerà, ma trovandosi una condizione di pressione che cala di poco alla volta, non farà schiuma e ci sarà un passaggio perfetto.

per capire quando il fusto è pieno è sufficiente posizionarlo su una bilancia e farne la tara, poi applicare il calcolo sommario 1 litro = 1 kg. So che il mio fustino contiene 3,6 litri, quando la bilancia misura 3,6kg mi fermo e stacco tutto.

Si staccano tutti i connettori e si lascia il fusto a maturare, pronto per essere attaccato alla spinatrice per il consumo. Se si stacca prima la valvola di sfiato e poi il connettore della birra, il fusto rimarrà saturo di CO2 e carbonato alla perfezione e non sarà quindi necessario effettuare ulteriori spurghi.

Una cosa che molti sottovalutano è che negli spezzoni di tubo, se non spurgati, rimane aria. Questa, al passaggio della birra (o gas) nel fusto di destinazione, andrebbe in soluzione rovinando il prodotto. E’ sempre consigliabile spurgarli, attaccandolo alla bombola o ad un fusto in pressione prima di utilizzarli per il trasferimento, in modo da saturarli di CO2 e da eliminare l’aria presente in essi.

 

IMBOTTIGLIARE IN CONTROPRESSIONE

Per imbottigliare la nostra birra limitandone il contatto con l’ossigeno serve innanzitutto, come già detto, costruirsi o acquistare una “pistola”.

Si tratta sostanzialmente di un insieme di tubi, valvole e raccordi, con un tappo in silicone che serve a sigillarla sulla bocca della bottiglia.

Il funzionamento di base è molto semplice: si spurga e si satura la bottiglia (analogamente a quanto abbiamo visto per il fusto) e poi, togliendo la CO2, entrerà la birra. Una volta piena si tappa nel più breve tempo possibile per evitare ossidazione.

Vediamo nel dettaglio:

Ecco come risulta il sistema completo. La bombola della CO2 sarà connessa al fusto e alla pistola (se possibile, è consigliabile un riduttore di pressione a 2 vie, in modo da tenere separate le due linee e poter dare un filo di pressione in più al fusto rispetto alla bottiglia, in caso ce ne fosse bisogno). La birra è connessa invece al lato opposto della pistola.

 

COSA ACQUISTARE

Innanzitutto ci serviranno connettori e tubo delle giuste misure per effettuare tutti i collegamenti. Dato che ci ho perso tempo (e soldi), vi espongo quelle che sono le filettature delle varie parti del sistema, così evitate di fare acquisti inutili:

La filettatura sugli attacchi della pistola è da 1/4” femmina

La filettatura sui connettori Jolly è da 7/16” maschio

Il tubo con diametro esterno da 8mm è da 5/16”

Il tubo con diametro esterno da 9,5mm (a volte dichiarato da 10mm) è da 3/8”

Con questi parametri è possibile acquistare i connettori corretti.

Io ho acquistato tutto da AliExpress, con un sensibile risparmio (i connettori DuoTight, ad esempio, costano qualche centesimo, anzichè i 3/5 euro che si pagano per gli originali John Guest e funzionano comunque egregiamente). L’unico appunto è che bisogna acquistare tutto il materiale dallo stesso venditore per risparmiare sulle spese di spedizione ed avere un effettivo risparmio.

Ho optato per utilizzare un tubo da 8mm di diametro esterno e 5 interno dato che i connettori DuoTight utilizzano quello standard. Ho acquistato quindi 2 connettori [DuoTight 5/16”-7/16” F] per connettere gli attacchi Jolly di gas (connettore grigio) e prodotto (connettore nero). Servono poi un paio di connettori [DuoTight 5/16” – 1/4” M] per i due ingressi della pistola. Mancano i due raccordi per connettersi al riduttore di pressione, io ho un due vie in cui vanno bene gli stessi dei connettori Jolly, ma potrebbe essere necessario dotarsi di raccordi diversi a seconda della filettatura del vostro riduttore. In caso optiate per un riduttore ad una via, serve anche un raccordo a T o a Y per sdoppiare le vie della CO2 e connetterne una alla pistola e l’altra al fusto.

Se invece preferite acquistare tutto dall’Italia, probabilmente vi conviene optare per un tubo da 9,5mm di diametro esterno e connettori John Guest adeguati, dato che è uno standard più comune, cercateli ed acquistateli seguendo sempre le filettature descritte nell’immagine sopra e sarete sicuri di non sbagliare.

 

LA FASE PRATICA

Ora che abbiamo una birra carbonata e a 2/4 gradi di temperatura e che abbiamo tutto il sistema con tubi e raccordi montato, possiamo iniziare ad imbottigliare.

Per farlo dobbiamo innanzitutto settare la bombola di CO2 allo stesso valore del fusto, poi possiamo inserire la prima bottiglia sotto alla pistola infilando il beccuccio nel collo e facendo in modo che il tappo in silicone chiuda ermeticamente l’imbocco.

Apriamo la valvola superiore della pistola dalla parte del gas e la CO2 comincerà a riempire la bottiglia. Ora dobbiamo effettuare uno spurgo per eliminare tutta l’aria, quindi, una volta che la CO2 ha smesso di uscire, chiudiamo la valvola superiore (rimettendola in posizione centrale) e apriamo quella di sfogo. Effettuiamo questa operazione 3/4 volte per essere sicuri di avere spurgato tutta l’aria contenente ossigeno. Alla fine riempiamo di CO2 per l’ultima volta per saturare la bottiglia e infine torniamo con la valvola superiore in posizione centrale.

Ora possiamo passare la valvola dalla parte della birra. Dato che la pressione del fusto e della bottiglia è identica, la birra non uscirà e rimarrà ferma in fusto. Per iniziare l’imbottigliamento dobbiamo quindi aprire la valvola di sfogo per fare uscire la CO2, in questo modo entrerà la birra, che ne prenderà il posto.

Una volta che la bottiglia è piena, facciamo in modo che si crei un cappello di schiuma sul collo, poi la estraiamo, diamo una piccola botta sul tavolo per far salire un po di schiuma e, assieme ad essa, l’eventuale aria che poteva essere tornata all’interno e poi subito tappiamo con la tappatrice, che deve essere a portata di mano e fissata al tavolo subito a fianco alla pistola da imbottigliamento.

FINE.

Sembra complicato, ma è tutta una questione di abitudine. In fondo all’articolo troverete un video che riassume tutti i punti precedenti.

 

EFFETTUARE UN DRYHOP IN FUSTO

Un’altra cosa che viene spontaneo chiedersi è “questo medoto si applica soprattutto alle birre luppolate, ma quindi come faccio a fare dryhop se il fusto è sigillato?”

Bella domanda!

Per ora ho indivuato due diversi metodi:

Il primo è dotarsi di uno spider hop con catenella apposito per fusti e di un coperchio per keg con foro per poterlo appendere.

In questo caso i luppoli verranno inseriti nell’infusore (consiglio quello diametro 6cm e lunghezza 30cm, che è il più capiente), che verrà tappato ed appeso, tramite apposita catenella, ad un asola in acciaio che sporge sul coperchio del fusto. In questo caso sarà più semplice avere birra limpida e priva di residui di luppolo, in quanto quest’ultimo resterà all’interno del filtro (è sempre e comunque consigliata una buona winterizzazione per pulire gli eventuali residui).

Il secondo metodo è invece quello di mettere il pellet libero in fusto al momento del travaso. In questo caso consiglio vivamente di dotarsi, come già accennato sopra, di un kit con sfera in acciaio galleggiante e tubo di silicone, in modo da pescare dalla superficie della birra e non dal fondo, per evitare di portare pellet in bottiglia.

In entrambi i casi il luppolo sarà ovviamente da mettere al momento del travaso, quindi calcolare bene i tempi di contatto. Il mio consiglio è, in caso di birra con dryhop, di prevedere il travaso anche qualche punto di densità sotto rispetto alla metà della fermentazione, in modo da non lasciare il luppolo a contatto con la birra per troppo tempo (per evitare aromi che virano troppo sull’erbaceo).

 

CONSIGLI E MIGLIORAMENTI

  • Il primo (e a mio avviso indispensabile) upgrade è quello di costruirsi una colonna dove fissare la pistola, in modo che si riesca a lavorare con le mani libere e che la bottiglia stia ferma e sigillata durante il riempimento.

  • Il secondo è quello di dotarsi di un riduttore di pressione a due vie. Questo ci permette di poter alzare di un filo la pressione del fusto rispetto a quella della bottiglia, facilitando la creazione di schiuma, fondamentale per occupare lo spazio vuoto sul collo ed evitare che esso venga occupato dall’aria.

  • L’ultimo upgrade che si può effettuare è quello di allungare la pistola dalla parte destra aggiungendo un’ulteriore valvola a 2 vie e, in parallelo all’ingresso della CO2, inserire una pompa per il vuoto. Questa facilita (e velocizza) le operazioni di spurgo, dato che sarà appunto la pompa ad occuparsi di eliminare preventivamente l’aria contenuta all’interno della bottiglia. In questo caso, per effettuare lo spurgo, sarà sufficiente girare la valvola tra vuoto e CO2 solo un paio di volte. Sarà probabilmente uno dei prossimi upgrade anche del mio impianto, in caso aggiornerò l’articolo con foto e dettagli.

 

PER COMPLETEZZA:

TRASFERIMENTO DI BIRRA NON CARBONATA

Abbiamo visto come trasferire birra già carbonata da un fusto all’altro ma, per completezza, è bene considerare anche l’ipotesi di dover trasferire birra non carbonata, sulla quale poi effettueremo una carbonazione forzata con uno dei metodi descritti sopra. Questo può essere utile, ad esempio, nel caso si sia completata la fermentazione in un keg aperto e si voglia trasferire la birra in un altro per renderla più limpida ed eliminare i residui del lievito prima di winterizzarla e carbonarla.

Per farlo procediamo effettuando dapprima uno spurgo e un riempimento di gas del fusto di arrivo. Poi si attacca la bombola all’attacco jolly del gas (colore grigio) del keg di partenza e si apre la bombola (settandola allo stesso valore di psi del fusto di arrivo). Poi si prepara un tubo con due attacchi jolly del liquido (colore nero) alle estremità e si connette prima il fusto di arrivo e poi quello di partenza. Aprendo la valvola di sfiato del fusto di arrivo e facendo uscire CO2 inizierà il trasferimento. Dato che la birra non è carbonata, pur essendoci un cambio di pressione passando da un fusto all’altro, non si creerà schiuma. E’ bene infine prevedere un ultimo spurgo del fusto di arrivo, in modo da essere sicuri che non rimanga ossigeno nella parte vuota.

 

CARBONAZIONE DEL FUSTO CON ZUCCHERO

Sempre per completare l’articolo (anche se non è propriamente un metodo “oxygen-free”), è giusto citare anche la carbonazione del fusto con zucchero. Analogamente a quanto si fa in bottiglia, si può infatti condurre al termine la fermentazione fino alla FG e poi aggiungere zucchero e sigillare il fusto. In questo modo la birra acquisirà la frizzantezza, senza perderla poi in fase di imbottigliamento.

Brewfather implementa, nella pagina “Fermenting” della sezione “Batches”, un pratico tool che fa il calcolo diretto della quantità di zucchero (Table Sugar), destrosio (Corn Sugar) o estratto (DME) da aggiungere per ottenere i volumi desiderati (selezionare “Keg (Sugar)” dal menu a tendina).

 

IL MIO SOSTEGNO PER LA PISTOLA

Prima ancora di acquistare tutti i componenti del sistema, ho pensato che fosse indispensabile (come ho già ripetuto più volte) costruirsi un sostegno per tenere in posizione la bottiglia sotto la pistola ed avere le 2 mani libere per lavorare.

Ho così ordinato la pistola e i raccordi su AliExpress e, una volta arrivata, mi sono messo a pensare a come fare… Questo è quello che ne è uscito:

Per realizzare il sostegno, ho deciso di riutilizzare una vecchia tappatrice a colonna rimasta ferma da anni. Con l’aiuto del suocero, abbiamo tagliato via la parte frontale e, al posto della leva per chiudere le bottiglie, abbiamo saldato una grossa rondella, perpendicolare al sostegno.

Abbiamo poi trovato 2 rondelle più piccole che entravano perfettamente nel foro di quella grande e abbiamo deciso di utilizzarle per fare in modo che vi girassero all’interno, bloccandole con delle viti e delle rondelline. Abbiamo messo un perno sulla parte alta, per bloccare la rotazione con la pistola in verticale.

Abbiamo saldato sulla parte frontale della rondella piu’ piccola i sostegni per tenere in posizione la pistola, costruiti in modo che quest’ultima si possa smontare svitando due semplici viti (è utile poter smontare la pistola per la sanitizzazione e la pulizia finale).

Questo permette di avere un sostegno girevole, che consente di infilare il tubo nella bottiglia e di bloccarla in verticale, sigillandola sul tappo in silicone.

La grossa leva a vite sulla parte destra fa parte del sistema di scorrimento originale della tappatrice, permette quindi di regolare su e giù la pistola, in modo da adattarsi a ogni tipo e dimensione di bottiglia.

L’ultimo “tocco di classe” è stato verniciare di rosso il sostegno per la pistola e di nero la colonna, per riprendere i colori della tappatrice che già possiedo ed uso da anni.

Un appunto importante è che è bene fissarle al tavolo di lavoro entrambe (tappatrice e pistola) una vicina all’altra, in modo da poter velocizzare il passaggio della bottiglia da imbottigliatrice a tappatrice, visto che è fondamentale che sia quasi immediato, per limitare l’ossidazione.

Dato che non volevo forare il tavolo (e che non ho lo spazio libero per tenerle fisse in un posto), ho deciso di utilizzare delle morse da falegname per fissarle (devo dire che, dalle prime prove, non sembra che intralcino più di tanto il passaggio della bottiglia, quindi penso che manterrò questo sistema).

 

COME HO DECISO DI FERMENTARE

Ho elencato tutti i metodi e l’attrezzatura nel dettaglio, ora mi pare giusto descrivere come ho deciso di procedere nella pratica.

Possiedo due camere di fermentazione, ma sono entrambi freezer a pozzetto, ho dovuto quindi escludere, purtroppo, l’acquisto di un Fermentasaurus, dato che non ci stava ne in larghezza ne in altezza (per quello servirebbe un frigorifero a vetrina, oppure un frigo da cucina molto alto). Ho quindi deciso di optare per un paio di fusti Cornelius Keg, almeno per iniziare a capire come funziona il metodo e per le prime prove, poi vedrò più avanti se e come apportare eventuali upgrade.

Ho trovato i fusti cercando sul mercatino homebrewing di Facebook. Dato che non c’erano inserzioni attive, ho fatto un post dichiarando che stavo cercando dei cornelius keg da 18 litri e dopo pochi minuti ho ricevuto 3 risposte. Questo per dire che i fusti si trovano bene usati e a prezzi onesti (malgrado all’esterno sembri un fusto molto usurato, l’interno è intonso e perfettamente utilizzabile per una fermentazione).

Ho deciso di procedere così: faccio una prima parte della fermentazione in fermentatore classico (utilizzo fusti dell’olio con fondo saldato da 30 litri) e poi, dopo circa la metà della discesa della densità (che monitoro con il densimetro digitale TILT) travaso in fusto attraverso l’imboccatura dell’oblò utilizzando un sifone, con un tubo che arriva sul fondo del keg. Una volta che il fusto è pieno, lo sigillo ermeticamente chiudendo il coperchio e collego una valvola di spunding al connettore del gas.

C’è chi consiglia, prima del travaso, di saturare il fusto e poi spurgarlo prima di procedere, in modo da trovarsi un ambiente con meno ossigeno possibile. Per la mia prima prova avevo già il fusto pieno di anidride carbonica per altri test, quindi ho provato. Per le prossime birre probabilmente eviterò questo passaggio, dato che mi sembra più uno spreco di CO2 che un beneficio, dato che la birra continuerà comunque a fermentare e a produrne, espellendo l’ossigeno dalla valvola di spunding.

Lascio lavorare il lievito fino a superare di poco il valore di pressione determinato e poi procedo a settare la valvola in modo che sfiati solo al di sopra di esso, mantenendo la pressione costante all’interno del fusto fino a fine fermentazione.

Ad esempio: Per la Golden Ale che ho prodotto volevo 2.4 volumi di CO2, che a 18 gradi di fermentazione corrispondevano a 24 psi, come da calcolatore.

Una volta che la fermentazione è giunta al termine procedo a chiudere completamente la valvola e a settare il termostato in modo che la birra vada alla temperatura di winterizzazione (2/4 gradi).

Calando la temperatura, calerà di conseguenza anche la pressione monitorata sulla valvola, arrivando pian piano al giusto valore, come da calcolatore.

Non spaventatevi se la pressione si stabilizzerà qualche psi al di sopra, è successo a me e anche ad altri homebrewers, dicono sia del tutto normale.

Dopo che ho atteso qualche giorno per far sedimentare tutti i lieviti e l’eventuale luppolo di dryhop libero posso procedere ad imbottigliare/infustare con i metodi descritti nella guida.

Ecco un esempio del mio setup completo in fase di imbottigliamento.

Sembra complicato, ma alla fin fine sono 3 tubi, un fusto e una bombola.

L’ho trovato addirittura più veloce e pratico rispetto all’imbottigliamento classico. Si sanitizzano le bottiglie, i tubi e la pistola e si è pronti per partire. Anche la pulizia del fusto, dato che la birra vi ha solo finito l’ultima parte di fermentazione dentro, non è per nulla macchinosa e risulta semplice e veloce.

Qua trovate un video-tutorial con l’imbottigliamento della mia Blonde Ale.

Vi raccomando anche di iscrivervi al nuovo canale youtube Rovid-Beer, dove inserirò altri video-tutorial in futuro.

 

LINK PER L’ACQUISTO DI TUTTO IL MATERIALE

PISTOLA IMBOTTIGLIATRICE

RACCORDO TIPO JG PER PISTOLA

CONNETTORI JOLLY GAS E BIRRA

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TUBO GAS E BIRRA

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BOMBOLA CO2 ALIMENTARE 5KG

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CHIAVE UNIVERSALE PER IMPIANTI

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SFERA GALLEGGIANTE CON TUBO

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COPPIA COPERCHI KEG

MINI KEG VARIE MISURE

TAPPO PER MINI KEG

RIDUTTORE CO2 PER MINI KEG

SPILLATORE PER JOLLY-MINI KEG

SACCA POLIPROPILENE PER MINI KEG

 

CARTUCCE CO2 PER MINI KEG

CONNETTORI RICAMBIO PER KEG

GUARNIZIONI RICAMBIO PER KEG

LANCIA PER PULIZIA KEG

POMPA PER VUOTO

RICAMBIO TUBO BIRRA PER KEG

RICAMBIO TUBO GAS PER KEG

KIT PRESS. PER FERMENTASAURUS

Vi ricordo che QUA trovate un’esauriente guida agli acquisti che comprende anche libri e materiale per le altre fasi della cotta.

 

LINK UTILI E APPROFONDIMENTI

Calcolatore Crockett-Brewing

Brewing Bad “Ossidazione, la nuova psicosi”

Hyperborea Brewing “Vademecum per la contropressione”

Hyperborea Brewing “Infustare in contropressione: una guida”

Facciamoci una birra “La mia prima esperienza in contropressione”

Mr-Malt Blog “Infusta le tue birre”

HopAdvisor “Imbottigliamento in contropressione”

HopAdvisor “Fermentazione sotto pressione”

HB Sardi “Guida ai cornelius keg”

Forum Mr-Malt “L’esperienza di Christian”

Facebook Il Forum Della Birra “Post di Gianluca”

Birra e birrerie “Come infustare la birra”

Homebrewing Association “A bottler’s guide to kegging” PDF

Brewcabin “The definitive guide to force carbonating your beer”

Morebeer “Homebrewer’s guide to kegging” PDF

 

ALCUNI ESEMPI DI SOSTEGNI PER LA PISTOLA

Counter pressure bottler (Youtube video)

Home made counter pressure bottle filler (Youtube video)

Imagefast “DIY counter pressure bottle filler stand”

Sommbeer “Build your own counter pressure bottle filler”

Homebrew Talk “Counter pressure bottler stand topic”

Homebrew Talk “Counter pressur bottler stand topic n.2”

Friedies Brauhaus (Instagram video)

 

Un sentito grazie per l’aiuto nella stesura dell’articolo a:

Luca Cottini (che mi ha anche procurato i fusti per iniziare)

Maurizio Romiti (per le utili informazioni)

Iacopo Zannoni (del blog Hyperborea Brewing)

Stefano Longo (per i disegni)

Gianluca Pettirossi

Christian Ciarlo

Francesco Antonelli (di Brewing Bad)