Attenzione: Questo articolo non vuole essere una guida completa alla birrificazione con brettanomyces, ma il racconto della mia esperienza e di come mi sto muovendo in questo bellissimo, ma difficile mondo.

Come si capisce dagli ultimi articoli del sito, pubblicati prima delle lunghe ferie estive, mi sto sempre più appassionando ai Bretta e al loro utilizzo.

Quello che ho fatto in questi mesi, è stato innanzitutto iniziare a prepararmi il campo per poter creare e fermentare birre di questo tipo, cercando di trovare metodi e tecniche di produzione e pulizia, in modo da non infettare le cotte “normali”.

L’ATTREZZATURA

Ho iniziato acquistando e mettendo da parte attrezzatura dedicata SOLO all’utilizzo di brett e batteri, perchè quando produco birre con brettanomyces voglio che TUTTO quello che viene a contatto con il mosto sia dedicato solo a quel tipo di cotte, quindi ecco la lista dell’attrezzatura che mi sono procurato (molte cose già le avevo e giacevano inutilizzate):

Ma la domanda è “QUANTO è rischioso”?

Una volta preparata l’attrezzatura bisogna trovare un metodo per pulire e detergere tutto il materiale prima di riporlo. Come è risaputo, lavorando con questo tipo di microorganismi, ci si espone al rischio di contaminazioni incrociate di cotte “normali”.

Ma la domanda è “QUANTO è rischioso”?

Come in tutte le cose riguardanti l’homebrewing ci sono tante teorie. La cosa migliore sarebbe avere due ambienti separati, in cui lavorare su birre brettate e non, ma non potendomelo permettere, cerco di lavorare bene e pulire tutto (banco di lavoro e lavello compresi) una volta finito di imbottigliare.

LA PULIZIA

Per quanto riguarda le procedure di pulizia, illustro quello che Paolo Erne (il Guru dell’homebrewing di birre acide in Italia) mi ha gentilmente consigliato.

Si avrà a che fare con soda caustica e acido peracetico, sostanze chimiche molto pericolose, quindi servono le giuste precauzioni e tanta attenzione. Ovviamente non mi assumo nessuna responsabilità in caso qualcuno venga a meno delle norme di sicurezza a riguardo.

  • Prendo il fermentatore da pulire, do una sciacquata per eliminare i residui della fermentazione aiutandomi con una spugna, poi verso dentro 5 litri di acqua calda.
  • Metto guanti pesanti anticorrosione, occhiali di protezione e mascherina e, in un locale ben areato, misuro 200 grammi di scaglie di soda caustica (che su 5 litri danno una soluzione con concentrazione al 4%) e le immergo nell’acqua (Paolo si raccomanda di non versare MAI l’acqua sulla soda; dice “mai dar da bere alla soda”).
  • Mescolo bene con il mestolo usato per l’imbottigliamento e poi pulisco il fermentatore e tutto il resto dell’attrezzatura, passando MOLTO BENE tutto con la spugna sintetica.
  • Svuoto poi la soda nel lavello e sciacquo bene tutto con acqua corrente.
  • Verso altri 5 litri di acqua calda nel fermentatore e, analogamente al passaggio precedente, creo una soluzione al 2% con Acido Peracetico (100 grammi per 5 litri).
  • Lavo alla stessa maniera e poi risciacquo abbondantemente con acqua prima di riporre tutto il materiale.
  • Solitamente riempio anche uno spruzzino con la soluzione di peracetico, spruzzo tavoli e lavello e lascio agire per circa 20 minuti prima di risciacquare; vi passo poi i classici detergenti spray.
  • Dalla prossima cotta penso di acquistare una tovaglia in plastica lavabile per ricoprire il tavolo su cui imbottiglio, in modo da poterla poi togliere e mettere in lavatrice.

Un’ultima cosa che Paolo raccomanda è di lavarsi bene le mani e le unghie una volta che si è finito il lavoro, per non rischiare di “lasciare in giro” lieviti e batteri selvaggi, che potrebbero contaminare l’eventuale attrezzatura che si utilizza successivamente.

Tutto sommato sono semplici regole e automatismi che, con l’andare delle cotte, vengono da se.

Addirittura so che c’è chi utilizza gli stessi fermentazioni e attrezzatura per tutte le cotte (brett e non) e non ha mai avuto problemi di infezioni incrociate.

Spiegata attrezzatura e metodi, passiamo al sodo.

LE BIRRE

Innanzitutto una doverosa premessa (molti l’avranno sentita ormai mille volte): Le birre acide quali Lambic, Gueuze, ecc hanno acidità LATTICA, che è data dai batteri lattici (lactobacilli, pediococchi), quindi NON dai Brettanomyces, che sono invece lieviti (quindi NON batteri), che producono acido acetico solo se lavorano in presenza di ossigeno (fermentazione aerobica), mentre non producono affatto acidità se lavorano in assenza di ossigeno (fermentazione anaerobica). Da ciò si evince che le birre con soli brettanomyces e saccaromyces NON sono birre acide.

I Bretta producono acido acetico solo se lavorano in presenza di ossigeno

Come sempre, in questo sito preferisco non dare ricette accurate delle birre che produco, perché (come ho già spiegato più volte), non mi piace la moda di “copiare per filo e per segno” le ricette altrui… preferisco sempre che ci si arrivi con il ragionamento, con lo studio la sperimentazione, quindi darò solo linee guida sommarie. Resta il fatto che sono disponibile ad uno scambio di opinioni (in privato o sui social) e a fornire dettagli più precisi se lo si vuole.

In queste pagine preferisco non dilungarmi in analisi organolettiche accurate delle mie produzioni, in quanto innanzitutto non sono un bravo degustatore (e, almeno per ora, non è mia priorità diventarlo), ma anche perché non mi piace quando ci si immedesima a giudicare pubblicamente le proprie produzioni. Penso che ci siano in ballo troppi “sentimenti”, si rischia di essere troppo autocritici, o al contrario di esaltare troppo le proprie birre, quindi non lo faccio e do solo un giudizio sommario e oggettivo.

ESPERIMENTO N.1

(Funktown Pale Ale)

Per iniziare a fare esperienza con i “bug” (gli americani chiamano in questo modo i batteri e lieviti wild), ho deciso di partire da un ceppo di Brettanomyces… che in realtà si è scoperto essere un Saccaromyces (tanto per complicare ancora di più la cosa).

Ho acquistato il lievito liquido “Funktown Pale Ale” di The Yeast Bay, che è un blend di 2 ceppi diversi. Uno è il ceppo “Vermont Ale” (chiamato anche “Conan”, famoso lievito per produrre le New England Ipa) e l’altro è il Saccaromyces Bruxellensis Trois (si tratta di un lievito che ha comportamenti del tutto simili ad un Brettanomyces e che porta birre aspre e con sentori “da bretta”, ma che è stato riclassificato da qualche mese come Saccaromyces).

Ho scelto questo blend proprio perchè sulla carta non dovrebbe portare a rischi di infezioni incrociate, per poter testare quindi i metodi di produzione e pulizia correndo meno rischi possibile (ho infatti messo in pratica per la prima volta tutto il “protocollo di pulizia” descritto sopra).

La ricetta base è studiata su base APA, con acqua modificata come da guida e grist comprendente 93% Pale e 7% Crystal light.

L’amaro (40 IBU) è affidato principalmente ad una gittata di Magnum a 60 minuti, mentre l’aroma è monoluppolo Mosaic (che sulla carta ben si sposa con i sentori tropicali e fruttati del blend).

La ricetta prevedeva, in origine, un ricco dry-hop di Mosaic, ma al momento del travaso ho deciso di dividere la cotta in 2 fermentatori più piccoli e farne 13 litri senza.

Ho imbottigliato e atteso qualche settimana prima di assaggiare; il risultato mi ha spiazzato…

ho deciso di partire da un ceppo di Brettanomyces… che in realtà si è scoperto essere un Saccaromyces

La birra col dryhop (6 grammi per litro) è estrema… Il Mosaic ha preso il sopravvento su tutto il resto e ha coperto quello che il lievito poteva dare (tanto che Flavio Boero, che l’ha assaggiata ad un evento, ci ha trovato quasi un aroma di aglio da quanto era spinto).

La versione non luppolata a freddo, invece, rimane molto più piacevole, molto apprezzata da Boero, dagli altri esperti presenti e dai miei amici. Presenta spiccate note di frutta tropicale, mango, papaya, ma anche un sottofondo di sentori funky (molto lievi) dati appunto dal Trois.

Nel complesso lo ritengo un esperimento riuscito. La versione dry-hoppata sta iniziando a perdere la sua esplosività e sta migliorando (alcuni amici amanti del luppolo la amano), ma dovendola rifare abbasserei sicuramente le quantità. Sta anche iniziando a gushare (fortunatamente ne sono rimaste solo un paio di bottiglie), mentre la versione senza luppolatura non da questo problema, quindi lo ricondurrei più alla luppolatura che ad altro.

ESPERIMENTO N.2

(Rye Ipa con Claussenii in secondaria)

Il secondo esperimento è nato un po per caso. Stavo brassando una Rye Ipa (60% Pale, 30% Segale Maltata, 10% Golden Naked Oats) ma, una volta immersi i grani macinati nel cestello, ho dimenticato di abbassare la temperatura di 2 gradi, ricordandomene solo dopo mezz’ora. Ho quindi condotto un mash a temperatura più alta del dovuto, creando un mosto con tanti zuccheri complessi in più rispetto a quanto avrei voluto.

Il mio cervello, ormai malato (nel senso buono), ha pensato “poco male, al travaso per il dryhop divido la cotta e 13 litri li bretto!!!”

Così ho fatto… Il giorno seguente ho fatto un piccolo ordine da Birramia, comprendente una fiala di Brettanomyces Claussenii. Ho condotto la fermentazione come da programma, ho messo a fermentare e sono arrivato ad FG stabile. Al travaso ho diviso la cotta e ho versato la fiala. Ho lasciato a lavorare circa 30 giorni prima di imbottigliare.

Il risultato, anche questa volta, mi ha sorpreso. La cosa che salta subito all’occhio è l’aspetto visivo delle due birre. Quella senza Bretta ha una torbidità degna delle più tamarre Juicy Ipa americane che vanno (andavano?) di moda adesso. Aroma e sapore sono tipici da IPA americana, con i luppoli Galaxy, Citra e Cascade belli in evidenza, sia al naso che al palato.

L’altra versione è, alla vista, completamente diversa. Il brett ha mangiato ogni cosa, rendendo la birra estremamente limpida e di colore più chiaro. Al naso il funky spicca e l’aspro del bretta sovrasta l’amaro del luppolo, ma lo fa in maniera piacevole. Rimane molto fruttata (caratteristica che non ritrovo nell’altra versione).

Come ormai avrete capito, non mi butto mai nel buio senza paracadute. Mi piace sperimentare, ma lo faccio sempre un passo alla volta.

Dopo aver preso confidenza con tecniche e metodi di produzione, ho pensato fosse ora di mettere in pratica quello che già da mesi pensavo di fare, cercare di capire come si comportano i vari ceppi di Bretta in presenza di mosto “normale” o acido. Da qui nascono gli esperimenti N.3 e 4.

ESPERIMENTO N.3

(100% Brett)

Tutto inizia con l’acquisto di altre 2 fiale di bretta, Claussenii e Bruxellensis (Ho acquistato anche i componenti per costruire un secondo agitatore magnetico, dato che uno già lo possedevo), ai quali ho fatto starter (1,5 litri l’uno).

Dopo 6 giorni di agitatore la FG era stabile in entrambi, ho quindi riposto i vasetti in frigo, fatto sedimentare per un paio di giorni ed eliminato il mosto in eccesso (attenti, perchè il brettanomyces ha cellule molto più piccole e non crea un sedimento compatto come fa il saccaromyces, nemmeno se sta al freddo a lungo).

Tutto inizia con l’acquisto di altre 2 fiale di bretta, Claussenii e Bruxellensis

Ho deciso poi di studiare un mosto “appetibile” ai bretta (con quello che avevo già in casa), da produrre e dividere in 2 batch. Ho messo 80% Pilsner, 15% Frumento maltato e 5% di malto di segale. La luppolatura comprende Target in amaro (20 IBU totali) e Amarillo a 15 (10 grammi), 5 (20 grammi) e 0 (20 grammi) minuti (su 26 litri, quindi poca cosa).

Ho poi diviso il mosto in 2 fermentatori da 13, inoculato in ognuno un ceppo e lasciato fermentare.

Dato che avevo la camera di fermentazione già occupata, ho deciso di fidarmi di ciò che ho letto su un sito americano e ho fatto lavorare il bretta a circa 26 gradi (ambiente), perchè, dicono, a quelle temperature dovrebbe uscire più carattere funk.

Con mia grande sorpresa, alla misura della densità ho scoperto che il bretta (almeno a quelle temperature) è una macchina da guerra e mi ha consumato tutti gli zuccheri in pochissimi giorni. In 4 giorni ero già a 1.006 per entrambi. Ho comunque lasciato 3 settimane prima di imbottigliare, facendo un priming di 2,1 volumi.

ESPERIMENTO N.4

(100% Brett Sour)

Ho creato un mosto identico a quello dell’esperimento precedente, ma questa volta ho utilizzato il metodo del Sour Kettle (già visto per la Gose e Berliner Weisse) per “acidificare” con batteri lattici.

Il giorno seguente ho misurato il pH (3,6) e ho scaldato fino a bollire, calando un po la quantità di luppolo in amaro rispetto alla precedente (15 IBU anzichè 20).

Ho inoculato i bretta a cui avevo fatto starter e ho lasciato a fermentare, a temperatura analoga all’esperimento precedente.

Anche questa volta i lieviti hanno agito molto in fretta, ma li ho comunque lasciati 3 settimane a lavorare prima di imbottigliare (con lo stesso priming del 3).

Per quanto riguarda gli esperimenti 3 e 4, preferisco attendere la maturazione delle ultime 2 birre prima di giudicare. Probabilmente ne farò un articolo a parte.

IL FUTURO

Cosa ci riserva il futuro? Curiosità e pazzia… è con queste che sto facendo starter di un ceppo Claussenii, che inoculerò prossima settimana ad un mosto acidificato con batteri lattici (sempre con il solito metodo Sour Kettle) e che luppolerò in stile IPA.

Il mio obiettivo è una Sour Brett IPA, ma so già che ci vorranno alcune cotte fallimentari prima di arrivare a risultati (si spera) apprezzabili.

Poi sicuramente riproverò il bretta in fermentazione secondaria che, come detto, mi ha dato ottimi risultati.

Quest’estate sono riuscito a reperire (gratis, grazie all’amico Aldo) il secondo freezer a pozzetto, che ho adibito a camera di fermentazione, quindi attualmente la mia “Tabella di marcia” sulle produzioni è di avere sempre una camera con una cotta “sperimentale” (acida o brettata), mentre continuo a ruotare l’altra camera con produzioni “normali” in sequenza.

Non so se riuscirò a tenere il ritmo di 3 cotte al mese che avevo fino a prima delle ferie, ma sicuramente ci proverò, perchè la curiosità è tanta e la strada è lunga.

E LE BOTTI?

Per ora niente botti e niente legno. Ho acquistato un paio di sacchetti di chips da mettere in infusione per dare complessità, ma voglio prima “addomesticare” e capire come lavorano i bretta e i batteri in fermentatore di plastica, senza aggiungere altra carne al fuoco. In questi casi penso che il rischio di “bruciarsi” sia troppo alto e preferisco non correre, ma fare le cose con calma.

Proprio per questo motivo, al momento non sto prendendo in considerazione nemmeno la produzione di birre più complesse (Lambic ecc), che richiedono tempo (anni) e dimistichezza, nonchè un ambiente a temperatura abbastanza mite per tutto l’anno. Ho in programma in questo senso una “collaborazione” con un amico, ma per ora è solo un’idea e vedremo ad Ottobre/Novembre se e come si farà (ovviamente seguiranno aggiornamenti sul sito in caso si faccia).

CONCLUSIONI

Cosa ho capito da questi primi esperimenti? Sicuramente che, paradossalmente, i Brettanomyces sono molto più evidenti su birre in cui non sono gli unici lieviti a fermentare il mosto. Sulla Rye Ipa dell’esperimento n.2 la nota funky del Claussenii è molto evidente, mentre sul 3 e 4 lo è meno.

Probabilmente le note funky del lievito escono maggiormente quando questo consuma zuccheri complessi, e magari sono meno in evidenza se deve consumare solo zuccheri semplici. Questo spiegherebbe anche la presenza invasiva del Bruxellensis nelle bottiglie di Orval più datate. Più la bottiglia resta a riposare, più il lievito consuma zuccheri residui dalla prima fermentazione, più è evidente la sua presenza.

Sto leggendo alcuni articoli americani a riguardo e probabilmente a giorni ne scriverò qualcosa anche qua, quindi non mi dilungo.

Se avete intenzione di iniziare a produrre birre con bretta e batteri… che dire… FATELO! Ma sempre tenendo presente tutte le precauzioni che ho illustrato alla sezione “LA PULIZIA”.

Quello che possono fare tutti, anche senza attrezzatura particolare, è il classico “recupero dei fondi di Orval”, che va sempre di moda. Si produce una birra (consiglio una belga, Saison ad esempio) e, al momento dell’imbottigliamento, si beve una Orval e si lascia il fondo e un po di liquido. Si agita bene per sciogliere tutto e se ne inocula (in alcune bottiglie) qualche millilitro con una siringa. Occhio a stare bassi con il priming (magari dosare anche quello con la siringa, per non rischiare di creare bombe).

Il Saccaromyces Bruxellensis Trois è un lievito “normale”, quindi sulla carta non dovrebbe essere invasivo come i bretta, ma non posso assicurarvelo perchè pur avendo cercato online e chiesto informazioni a vari “guru delle acide”, non sono ancora venuto a capo della questione.