La domanda che ricevo più frequentemente da chi si affaccia per la prima volta al mondo dell’homebrewing all-grain è “come si fa a creare una ricetta da zero?”

Sui social leggo sempre più spesso messaggi di homebrewer navigati che rispondono in malo modo a utenti alle prime esperienze, che postano ricette sbagliate o copiate da altre parti. Ma davvero vi sentite così tanto superiori da poter giudicare chi sta iniziando ora? davvero voi non avete mai copiato o preso come spunto una ricetta altrui? davvero sin dalla prima cotta all-grain sapevate già tutto sulle temperature di ammostamento, gli AA% dei luppoli, le quantità di dryhop e tutto il resto? Bhe… se è così complimenti! Io alle prime esperienze ero totalmente incapace, copiavo di qua e di la e mi creavo una ricetta “a caso” senza stile e senz’anima… ma le prove e i fallimenti servono a crescere, solo col tempo ho poi iniziato a leggere e studiare libri e siti.

Penso che prima di riuscire a crearsi una propria ricetta, sia meglio fare un grande passo indietro e cercare di studiare e capire alcuni concetti fondamentali sulla produzione della birra (purtroppo non vedo alternative, dato che ogni singolo aspetto è molto importante). L’articolo diventerà quindi per forza di cose una sorta di “minitutorial completo alla birrificazione in All-Grain”, perchè NON è possibile creare una ricetta sensata se non si conoscono le basi. La cosa più importante è SAPERE QUELLO CHE SI STA FACENDO.

Mentre in cucina si può seguire una ricetta alla lettera e tirare fuori un buon piatto, anche senza conoscere la chimica e la fisica che agisce sulle azioni che compiamo, per quanto riguarda la birra è molto più complicato.

La cosa migliore resta sempre quella di procurarsi un libro dedicato (in italiano c’è “La tua birra fatta in casa” di Bertinotti e Faraggi, che è e rimane il punto di riferimento. In inglese si trovano molti altri ottimi testi, spesso anche più completi e aggiornati)

Provo a riassumere a grandi linee i punti chiave che andrò a trattare:

  • Gli step di ammostamento e gli enzimi in gioco nel processo
  • Il contenuto enzimatico dei malti
  • L’apporto che ogni malto dona alla birra finita
  • Come lavora il lievito
  • Che cos’è l’AA% del luppolo
  • Linee base dello stile (BJCP) e composizione pratica della ricetta

provo a dare una spiegazione “sintetica” di ogni punto:

  • Gli step di ammostamento e gli enzimi in gioco nel processo

Durante l’ammostamento (fase in cui i cereali macinati vengono miscelati in acqua), vengono attivati e sfruttati diversi enzimi. Ogni enzima ha una diversa funzione e range (di pH e di temperatura) ottimale di attivazione. Nei libri leggerete che esistono un tot di enzimi utili alla birrificazione. Con i malti moderni possiamo tranquillamente affermare che ne servono soltanto 3.

  • Proteasi e Peptidasi (Protein Rest)
  • Beta-Amilasi
  • Alfa-Amilasi
  • Mash-Out

Protein Rest (temperatura 44-59°C) – Serve a scindere i legami degli aminoacidi (proteasi) e a ridurre la complessità delle catene proteiche (peptidasi). In sostanza serve in presenza di malti poco modificati (ad oggi praticamente nessuno, ma per esserne sicuri è necessario recarsi sulla scheda tecnica nel sito del produttore e cercare il valore “indice di Kolback” o SNR, che indica il grado di modifica del malto. Con valori superiori a 35% il malto non richiede Protein Rest) o quando si ha in ricetta una quantità alta (>25%) di cereali non maltati (fiocchi di frumento, avena, frumento torrefatto ecc). In Pratica si fanno 10-15 minuti max (protrarre troppo questa sosta porterebbe a problemi tipo bassa ritenuta di schiuma e corpo troppo lieve) a 53/55°.

Per maggiori informazioni sul Protein Rest e sulla sua effettiva utilità e necessità vi rimando al completissimo articolo di Brewing Bad.

Conversione:

Beta-Amilasi (temperatura 54-68°C) – Degrada gli amidi formando maltosio (zucchero altamente fermentabile dai lieviti). Produce un mosto molto fermentabile, quindi porta a birre più alcoliche e con minor corpo.

Alfa-Amilasi (temperatura 63-76°C) – Degrada gli amidi formando destrine (zuccheri complessi non fermentabili dai lieviti, almeno nel breve periodo), porta a birre più corpose.

Dato che le temperature di questi ultimi due enzimi si sovrappongono, spesso viene fatto un unico step ad una temperatura intermedia. Più è alta la temperatura, più agisce Alfa, più la birra sarà corposa e lascerà zuccheri non fermentati. Al contrario più in basso agirà più Beta, quindi mosto più fermentabile e birra finale più secca e alcolica.

Oppure si fanno due step distinti, uno attorno ai 60°C per 25/30 minuti in Beta-Amilasi, uno sui 70°C in Alfa-Amilasi (altri 30 minuti circa).

Mash-Out (temperatura 78°C) – Una sosta di 15 minuti a 78 gradi a fine conversione serve a bloccare l’azione enzimatica e a permetterci di poter effettuare lo sparge senza paura che gli enzimi continuino a lavorare. Se il proprio metodo di produzione prevede un riscaldamento immediato del mosto una volta terminata la fase di conversione (ad esempio in BIAB o in alcuni casi BIAP), il mash-out è superfluo e si può evitare.

pH – Come abbiamo detto, gli enzimi, oltre ad un range di temperatura, hanno anche una finestra di pH entro la quale lavorano al meglio. E’ importantissimo centrare il valore di acidità del mosto per la fase di conversione, in modo da favorire l’azione di Beta e Alfa amilasi. Per farlo basta misurare un campione di mosto (opportunamente raffreddato) con il pHmetro (ne esistono di molto economici e molto efficaci, come spiega Francesco in questo articolo) e, se il pH è troppo alto, aggiungere (pochi ml alla volta) acido lattico. Poi riprendere la misura e centrare il range 5.3-5.6. In caso il valore dovesse andare più in basso (troppo lattico o molti malti scuri, che abbassano il pH), per rialzarlo aggiungere al mash bicarbonato di sodio (anche in questo caso dosare aggiungendo una punta di un cucchiaino per volta).

Come si evince da quest’ultimo paragrafo, è fondamentale comprendere gli step di ammostamento per poter studiare una ricetta sensata. Al giorno d’oggi troviamo per lo più malti completamente modificati (le tecniche di maltazione si sono evolute e la germinazione viene portata ad uno stadio più avanzato prima di essicare), che non richiedono il protein rest, quindi la maggior parte delle nostre birre richiederanno solamente la fase di conversione (Alfa e Beta amilasi) ed, eventualmente, il mash-out.

Il rischio più grosso, se non si ha ben chiaro questo passaggio, è quello di copiare una vecchia ricetta impostata su vecchi malti e metodologie, quindi di portarsi dietro decine di step superflui (e dannosi) ed allungare il tempo della cotta inutilmente. La parola chiave è “semplificare”!

Un altro concetto fondamentale del paragrafo è l’azione di Alfa e Beta-Amilasi. Stilando la ricetta è necessario scegliere la temperatura di ammostamento (o le temperature, a seconda se step singolo o multistep) in relazione a ciò che si vuole ottenere. E’ importantissimo comprendere il concetto di “fermentabilità del mosto”, un mash a temperatura più bassa favorisce Beta e produce un mosto molto fermentabile e da origine ad una birra più secca. Questo, in associazione alla capacità di attenuazione del lievito (che vedremo più avanti), è uno dei concetti più importanti e farà la differenza tra una birra “passabile” ed una birra “perfettamente in stile”.

  • Il contenuto enzimatico dei malti

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, per poter trasformare gli amidi in zuccheri, abbiamo bisogno degli enzimi. A seconda del processo di maltazione che i grani subiscono, vengono trasformati in malti base o in malti speciali.

I malti base sono fondamentali, in quanto oltre a contenere gli enzimi utili per convertire i propri amidi, ne hanno anche in eccesso. Quelli in più verranno utilizzati per convertire gli amidi dei grani che non ne hanno.

I malti speciali, a seconda della tipologia, possono contenere gli enzimi strettamente necessari per convertire i propri amidi, o addirittura non contenerne affatto.

Come si evince da questo paragrafo, quando si progetta una ricetta è importante prevedere una quantità di enzimi giusta per poter convertire tutti gli amidi dei malti. In particolare è necessario inserire una quantità di malti base, con enzimi in eccesso, tale da poter convertire anche tutti i malti che non ne contengono.

Vi rimando a questa utile tabella del sito “Brew The Planet” per la lista dei malti, per sapere quanti enzimi contengono e per le percentuali d’impiego.

  • L’apporto che ogni malto dona alla birra finita

Ovviamente una delle cose più importanti, quando si studia una ricetta, è capire quali malti (base, speciali e altri fermentabili) utilizzare e in che percentuali. Per capirlo bisogna innanzitutto sapere cosa ogni malto può donare alla birra finita e poi, a seconda dello stile e di quello che si vuole brassare, si sceglie e si quantifica.

Esistono già tante liste di malti con le relative proprietà online, trovo superfluo copiarne. Ne trovate una sintetica sul sito “Il Birrafondaio”.

Per avere maggiori informazioni vi consiglio il libro “Gli ingredienti della birra: Il Malto” che, seppur molto bistrattato da alcuni, che si aspettavano una lettura più utile a livello “homebrewing”, contiene svariate pagine riguardanti i tipi di malti e le loro caratteristiche.

  • Come lavora il lievito

“Il ruolo del birraio è quello di preparare il mosto e di mettere il lievito in condizioni di fare bene il suo lavoro, ma è poi il lievito a fare la birra.”

Da questa frase, riportata sul libro di Bertinotti e Faraggi (mi rimase in mente sin dalle prime volte in cui producevo kit) si capisce che la scelta del lievito è fondamentale per poter ottenere una birra ben fatta e senza difetti, ma è anche indispensabile “metterlo in condizione di fare bene il suo lavoro”.

Come sappiamo i lieviti si dividono in alta e bassa fermentazione (non mi dilungo sull’argomento), una volta scelto quello adatto allo stile da produrre, bisogna scegliere un ceppo tra i tantissimi disponibili in commercio. La caratteristica principale da esaminare per studiare la ricetta è sicuramente l’attenuazione.

  • L’attenuazione indica la capacità di un lievito di consumare gli zuccheri presenti nel mosto (75%, ad esempio, indica che il lievito in questione consumerà all’incirca i 3/4 degli zuccheri totali). Come abbiamo visto nei punti precedenti, la fermentabilità del mosto (il mix di zuccheri semplici e complessi) dipende da come abbiamo effettuato l’ammostamento (temperature), da ciò si evince che questo è un dato approssimativo, ma ci da un chiaro parametro per distinguere un ceppo da un altro e per includere quello desiderato in ricetta, a seconda del risultato che vogliamo ottenere (se vogliamo una birra più secca punteremo un lievito più attenuante e viceversa).
  • La tolleranza all’alcool è un altro parametro che, in alcuni casi, è da considerare bene, in quanto alcuni ceppi non possono lavorare con gradazioni alcoliche troppo alte, quindi potrebbero smettere di fermentare dopo aver consumato una parte di zuccheri (e quindi creato alcool) e lasciare il lavoro a metà.
  • La flocculazione indica la tendenza delle cellule di lievito ad aggregarsi tra loro formando conglomerati marroncini in cima al mosto. Condiziona in parte la limpidezza della birra finita.
  • La Temperatura di lavoro del lievito è fondamentale per garantire alla fermentazione il giusto profilo aromatico. Il range di lavoro è indicato nella confezione, ma è importantissimo capire che farlo lavorare al limite basso o a quello alto produrrà due birre (spesso) completamente diverse tra loro. E’ di vitale importanza scegliere e mantenere la giusta temperatura per ottenere il risultato sperato.

Da questo paragrafo si evince che la scelta del lievito che andrà a fermentare il nostro mosto è fondamentale, non da meno lo è la temperatura alla quale lavorerà (se utilizzate un lievito per la prima volta consiglio di chiedere info online a chi l’ha già utilizzato o cercare sui forum americani o google prima di fare cose a caso). Una delle attrezzature più importanti per un impianto casalingo è un frigorifero con cavo riscaldante e termostato a comandare la temperatura (solitamente STC-1000 o uno dei nuovi InkBird già cablati). Questo perchè è fondamentale far lavorare il lievito in condizioni favorevoli, soprattutto i ceppi più caratteristici (belga e inglesi). Un ultimo fattore da considerare è che la fermentazione (soprattutto nei primi giorni di tumultuosa) è una reazione chimica che scalda parecchio, quindi se si prende la temperatura in ambiente e non nel mosto, si rischia di ottenere risultati del tutto diversi da quanto atteso. Ho registrato a volte sbalzi anche di 4 gradi tra dentro e fuori il fermentatore.

Il mio consiglio (molti la pensano diversamente e ci sono mille accesi dibattiti online sull’argomento) è di procurarsi un portasonda (ottimi quelli di BacBrewing anche se costosi) e di fare un buco nel fermentatore. Io metto il portasonda al posto del rubinetto (che trovo un ricettacolo per le infezioni e non utilizzo da anni) e per i travasi e imbottigliamento uso il sifone.

  • Cos’è la AA% del luppolo

Come sappiamo il luppolo dona alle nostre birre amaro e aroma, a seconda di quando viene aggiunto al mosto durante la bollitura (non sto ad affrontare l’argomento in quanto già ampiamente trattato da altri). Un fattore che però non mi era chiaro alle prime produzioni era che i luppoli, pur appartenendo allo stesso tipo, non sono sempre uguali. A seconda del raccolto, infatti, possono contenere valori di AA% (Alfa Acidi, che influenzano l’amaro e la sua percezione) diversi.

Contrariamente ai malti, che spesso sono già codificati nei programmi per Homebrewing e non necessitano di aggiustamenti, nel caso dei luppoli è molto importante andare ad aggiornare il valore dell’AA% in ricetta con quello effettivo del luppolo che si è acquistato. I fornitori indicano il valore degli Alfa Acidi nell’etichetta sulla bustina.

Nelle mie prime produzioni All Grain non avevo ancora compreso questo aspetto, quindi mi ritrovavo con birre dall’amaro molto distante dal risultato che volevo ottenere, proprio perchè molti luppoli hanno un range ampio di AA% e io non lo aggiornavo in ricetta.

  • Le linee base dello stile e la composizione della ricetta

E’ solo dopo aver compreso pienamente tutti i punti precedenti, che si può iniziare a parlare di “ricetta”.

Il mio consiglio è di iniziare producendo birre il più possibile aderenti ad uno stile di riferimento (gli esperimenti fuori stile lasciateveli per il futuro). Per farlo è necessario innanzitutto leggere il BJCP e cercare di capire come dovrà essere la nostra birra finita.

A mio parere però il BJCP non basta. E’ un documento molto utile quando andiamo ad assaggiare la nostra birra e vogliamo capire se abbiamo fatto o no un buon lavoro, ma meno per quanto riguarda ingredienti e metodologie di produzione.

Proprio per questo, quando ho messo online il sito, ho subito iniziato a scrivere linee guida complete per la produzione dei vari stili (un po alla volta ne sto mettendo online il più possibile), perchè è una cosa che in italia (quindi in italiano) mancava totalmente (o meglio io non ho mai trovato nulla).

Le guide le trovate alla sezione STILI e sono divise per paesi di provenienza.

Per gli stili che non ho ancora trattato, vi rimando alla sezione “learn” dell’ottimo sito Kegerator.com e agli “Style Profiles” di Brew Your Own. Sono entrambi siti in inglese, ma sono completissimi e sono le principali fonti da cui prendo informazioni per le mie guide agli stili.

  • Creare la ricetta

Per creare la ricetta, vi consiglio innanzitutto di scegliere uno dei tanti programmi disponibili online.

Per chi inizia può andar bene BrewMate (QUA trovate la mia guida al programma)

Per chi ha più dimistichezza c’è il BrewPlus (in Italiano)

Per chi ha voglia di spendere per un programma ancora più completo (in lingua inglese) c’è il BeerSmith (QUA trovate la mia guida al programma).

Una volta impostato il valore di efficienza e il rapporto acqua/grani del nostro impianto sul programma (anche per questo vi rimando alle guide già presenti online sui vari siti), andiamo ad individuare il malto base e i malti speciali per la ricetta. Quantifichiamo poi il tutto lavorando in percentuali (ovviamente dobbiamo tenere in considerazione i punti precedenti, quindi non bisogna mai esagerare con gli speciali rispetto al base, per non avere problemi di mancanza di enzimi per convertire tutti gli amidi).

A questo punto inseriamo il lievito scelto in ricetta ed andiamo a determinare anche in dettaglio le temperature e i tempi di mash, boil e di fermentazione (sempre tenendo presente i punti precedenti).

E’ il momento di decidere la densità iniziale (OG), cercando di restare entro i limiti dello stile. Il programma determinerà automaticamente la FG prevista, a seconda degli altri parametri immessi (nel dettaglio le temperature di mash e l’attenuazione del lievito scelto).

Ora dobbiamo scegliere i luppoli (ricordandoci, come descritto sopra, di aggiornare il valore di Alfa Acido leggendolo sulla bustina) e ad aggiungere le varie gittate, solitamente 60 minuti per amaro, 15-10-5 per sapore e aroma e 0 minuti (aggiunti a fiamma spenta e lasciati in raffreddamento) e dryhop per solo aroma.

Se siete alle prime armi vi consiglio di utilizzare, per brassare, l’acqua dell’acquedotto di casa (sempre se è un’acqua “buona da bere”, altrimenti affidatevi ad acque in bottiglia con una quantità di sali “media”). Se invece siete già navigati è possibile provare a crearsi un proprio profilo di acqua adatto allo stile. Per farlo vi serviranno alcuni tipi di sali e un modo per calcolarne le aggiunte, che può essere un foglio di calcolo o uno dei programmi per homebrewing sopra citati (BrewPlus e BeerSmith hanno la funzione apposita e nella guida a BeerSmith spiego come funziona il tool).

Per altre info riguardo la modifica dell’acqua vi rimando a questi articoli di Brewing Bad, che trovo molto chiari e che mi hanno aiutato tantissimo. 1 2 3 4

P.S. – Nelle mie guide agli stili trovate anche, quando è importante, la tabella con i sali consigliati.

  • Esempio

Vogliamo brassare una Blanche. Sulla relativa guida leggiamo che il grist dei malti comprende 50% Pilsner e 50% frumento non maltato (metteremo i fiocchi di frumento, che danno lo stesso risultato e sono molto più facili da gestire, come ci insegna Brewing Bad). Li inseriamo in ricetta sul programma.

Leggiamo poi che, in alcune versioni, si può sostituire parte del frumento con Avena. Decidiamo di metterne un 8% in forma di fiocchi, modifichiamo quindi il valore del frumento, che diventerà 42%.

Alla sezione “Varianti” notiamo che si può aggiungere malto Munich per dare complessità. Sappiamo che il Munich scurisce parecchio il colore, dato che ha circa 20 punti di EBC, quindi ne mettiamo solo il 2%.

Sottraiamo questi 2 punti percentuali al Pilsner, che diventa 48%.

La ricetta sarà quindi:

Pilsner 48%, Fiocchi di Frumento 42%, Fiocchi d’Avena 8%, Munich 2%.

prevediamo una OG di 1.050 e il programma ci ricalcolerà automaticamente le quantità dei fermentabili.

Il grist è fatto, seguendo la guida siamo giunti ad una ricetta nel modo più semplice possibile e senza scervellarci troppo ed evitando di scopiazzare ricette di dubbia provenienza.

Ora procediamo alla scelta del lievito. Solitamente utilizzo il Wyeast 3944 liquido, ma ho assaggiato ultimamente un ottima birra prodotta con il secco M21 di Mangrove Jack’s. utilizziamo quest’ultimo, che essendo disidratato è più facile da gestire per un novizio e non richiede starter.

Passiamo poi a scegliere gli step di mash. Come abbiamo visto il Protein Rest è necessario quando si ha molto frumento in fiocchi (non maltato), quindi prevediamo 15 minuti a 55 gradi.

per la conversione, optiamo per un monostep a 67,5 gradi (facendo BIAB spesso tengo la temperatura più alta di 1 grado rispetto a quanto terrei in AG classico, dato che ho un mash molto piu’ diluito).

La fermentazione avverrà a 20 gradi fissi, aumentando di 2 gradi verso la fine, per arrivare ad una FG stabile.

Ora andiamo a scegliere la luppolatura e la speziatura, prevedendo gittate a 60 minuti e 15 per quanto riguarda i luppoli e a 5 minuti per le spezie (buccia d’arancia e coriandolo macinato). Per le quantità lascio sperimentare voi.

per ultimo, se vogliamo modificare l’acqua, ci creiamo un profilo adatto e ci facciamo calcolare dal programma le aggiunte di sali rispetto alla base (solitamente uso Sant’anna, che è molto scarica e si presta bene alle aggiunte).

  • Conclusioni

Non sono riuscito a scrivere un articolo più sintetico sull’argomento. Come già scritto ritengo che ogni concetto trattato sia di fondamentale importanza per ottenere una buona ricetta e spero che a qualcuno possa essere utile la guida.