Come sapete ultimamente ho acquistato un fermentatore troncoconico Fermentasaurus ed ho iniziato ad utilizzarlo per le mie fermentazioni in isobarico (prima utilizzavo dei fusti Cornelius Keg, nei quali travasavo il mosto verso metà fermentazione). Per ora ci ho fatto solo tre cotte (non prive di problemi, come vedremo in uno dei prossimi articoli che uscirà sul sito), ma tutto sommato ora ci ho preso le misure e la terza cotta è uscita molto molto bene (una Session IPA che sto bevendo a fiumi per combattere il caldo estivo e di cui vi parlerò più tardi).

In tutto questo, oltre ai tanti pregi, ne ho anche riscontrato alcuni limiti. Uno di questi è proprio un limite fisico comune a tutti i fermentatori di forma troncoconica, e cioè la tendenza del luppolo di dry-hop a sedimentare nel cono, abbassando di tanto la resa aromatica, in quanto se ne riduce la superficie di contatto con il mosto.

La prima cosa che ho fatto per cercare di ovviare al problema è stato informarmi, chiedendo ai “colleghi homebrewers” possessori del fermentatore. Le risposte sono state sostanzialmente tre:

  • Abbondare con il dryhop
  • Scuotere il fermentatore
  • Fare “bubbling”

L’abbondanza di luppolo ci sta, è anche abbastanza ovvia come soluzione, ma non penso possa essere quella definitiva. Oltre a gravare sul costo della birra, mettendo più luppolo avremo semplicemente una parte di sedimento più ampia e la superficie di contatto non sarà così tanto superiore rispetto a prima.

 

SCUOTERE IL FERMENTATORE

Lo scuotimento del fermentatore si è invece rivelato molto efficace come metodo, anche se abbastanza faticoso e relativamente rischioso.

Innanzitutto bisogna assicurarsi di essere in pressione (pena l’ossidazione del mosto), poi è necessario staccare la valvola di spunding ed avvitare saldamente la boccetta di raccolta lievito sul fondo (non è fondamentale, ma oltre a ridurre il rischio che il rubinetto si apra accidentalmente, lo spazio tra boccetta e fermentatore è un ottimo punto in cui porre la mano per alzarlo).

La tecnica consiste nel sollevare il fermentasaurus dalla sua base in metallo, tenendolo con una mano sull’incavo tra ampolla e fermentatore e con l’altra sul fianco (o sulla base del tappo). Si afferra con forza, si solleva, si scuote e si ruota, arrivando tranquillamente anche a capovolgerlo (Se tutto è in pressione non ci saranno problemi di ossidazione ne di perdite). Così facendo il luppolo tornerà in soluzione nel mosto e continuerà a contribuire all’aroma, rendendo il dryhop molto più efficace.

Il mio consiglio è di scuotere il fermentatore almeno 3/4 volte al giorno durante il periodo di dryhop (solitamente non più di 3 giorni).

IL BUBBLING

Il “Bubbling” è una tecnica che utilizzano anche molti birrifici. Consiste nell’immettere CO2 dal rubinetto posto sul fondo del fermentatore. Applicando una pressione di poco superiore rispetto a quella già presente (regolata tramite valvola di spunding, che deve essere necessariamente montata e ben settata), creeremo delle bolle che dal fondo andranno verso la cima del mosto, scuotendo tutto il liquido e rimandando in soluzione il luppolo che aveva sedimentato nel cono. La CO2 in eccesso uscirà dalla valvola di spunding, facendo ritornare, una volta staccata la bombola, la pressione stabile.

Anche in questo caso non c’è rischio ossidazione se si fa tutto come si deve e anche questa tecnica risulta molto efficace. Per applicarla al Fermentasaurus senza alcuna modifica è sufficiente montare, al posto della boccetta per la raccolta del lievito, il portagomma di plastica in dotazione. Si applica un tubo dal portagomma alla bombola e si apre la CO2 alla giusta pressione (come già detto di poco superiore a quella già presente), si apre poi il rubinetto del fermentasaurus. In quel momento le bolle inizieranno a riportare in soluzione il luppolo. Dopo qualche decina di secondi si potrà richiudere il rubinetto del sauro e successivamente chiudere e staccare la bombola.

 

Anche in questo caso consiglio di fare bubbling almeno 3/4 volte al giorno durante il dryhop.

Entrambe le tecniche sono valide e, se ben applicate, si equivalgono come resa. La prima è più faticosa, ma anche più “pulita”, la seconda è semplice, ma richiede la pulizia e la sanitizzazione dei tubi e del portagomma.

 

LA BOCCIA DEL FERMZILLA

Una volta sperimentate entrambe le tecniche, ho deciso che il bubbling era quella più semplice, ma anche che le fasi di preparazione e pulizia erano lunghe e noiose. Come fare per velocizzare?

Sfogliando le fotografie del Fermzilla (il nuovo modello del Saurus) ho notato che la boccia di raccolta del lievito (oltre ad essere costruita in materiale molto più rigido e con bocca più larga) presentava ai lati due filettature, nelle quali è possibile avvitare i raccordi ball-lock per gas e birra.

E’ una genialata, in quanto con quei raccordi è possibile fare bubbling senza troppi problemi. Si lascia la boccia sempre attaccata e, con il rubinetto aperto, semplicemente si mette in pressione la bombola e poi si connette il connettore Ball-Lock. Si lascia attaccato qualche decina di secondi per rimettere in soluzione il luppolo, poi si stacca e si spruzza un po di Starsan (o altro sanitizzante) su raccordo e connettore. Tutto molto pulito e veloce.

 

PERCHE’ DUE VALVOLE?

Ma non è finita qua… per fare bubbling, come detto, utilizziamo solo una delle due valvole presenti sulla boccia, a cosa serve quindi la seconda?

La genialata più grande di questa ampolla è appunto che sarà possibile fare dryhop in pressione. Semplicemente possiamo chiudere il rubinetto, svitare la boccia, riempirla di luppolo e poi riavvitarla. A questo punto (ancora a rubinetto chiuso) possiamo attaccare la bombola su un connettore e un raccordo “libero” (o con un rubinetto) sull’altro. saturiamo e sfiatiamo per qualche secondo per eliminare tutto l’ossigeno, poi stacchiamo il connettore libero, saturiamo la boccia e stacchiamo tutto.

A questo punto avremo una situazione di questo tipo: Nel fermentatore ci sarà il mosto in pressione, a metà il rubinetto chiuso che divide le due “camere”, nella boccia il luppolo in ambiente saturo di CO2. Aprendo il rubinetto e sollevando il fermentatore per scuoterlo (metodo descritto sopra) il luppolo andrà in soluzione nel mosto e il dryhop sarà effettuato senza alcuna immissione di ossigeno. Questa tecnica è utilizzabile anche per fare dryhop multipli.

Quello che potrete pensare è “ok, ma ogni volta che chiudo il rubinetto e tolgo la boccia perdo però parte del mosto/luppolo che contiene. Questo è evitabile rovesciando il fermentatore a testa in giù e chiudendo il rubinetto al volo mentre la boccia è vuota. A questo punto sarà sufficiente rimettere il fermentatore in posizione e svitare la boccia (che è ancora in pressione, quindi sfiaterà aria, ma essendo vuota non c’è problema e non vi farete “il bagno di luppolo”).

Tutto questo è molto bello, ma come premesso è ciò che succede sul nuovo FERMZILLA, che purtroppo non è ancora disponibile all’acquisto

Alcuni siti, come Angel Homebrew, l’hanno messo a catalogo, ma senza disponibilità… può essere un segnale che gli arriverà a breve?

 

E CON IL FERMENTASAURUS?

Dopo tutta questa premessa, è arrivato il momento di capire come applicare questa tecnica all’attuale versione del Fermentasaurus. L’ampolla del Sauro è molto leggera (è in plastica PET, la stessa che si utilizza per le bottiglie dell’acqua per intenderci), quindi applicando semplicemente i connettori ai due lati della boccia non avremmo una parete abbastanza rigida su cui fare presa e che permetta di mantenere in pressione la boccia (o almeno questo è quello che mi viene da dire, ma non ho provato).

Innanzitutto servono dei connettori ball-lock con vite passaparete, in modo da poterli poi stringere sulla plastica della boccia. Ho trovato questi su Amazon:

Una volta arrivati ho subito intuito che la soluzione giusta poteva essere applicare un tubo in acciaio che facesse da spessore tra uno e l’altro connettore, applicandolo di misura esternamente a quei due tubicini sporgenti, per tenere il tutto rigido e non permettere alla boccia di deformarsi, perdendo pressione. Non sono bravissimo nel fai-da-te, ma fortunatamente ho un suocero molto capace e disponibile, che in 10 minuti ha tirato fuori un prodotto perfetto.

Per forare la plastica abbiamo usato il calore, scaldando un tubo di rame (dello stesso diametro del foro da fare) con una fiamma ed appoggiandolo sulla parete della boccia (forare la plastica col trapano non è semplicissimo e si rischia di fare danni, in più non avevamo una tazza di quella misura).

Poi abbiamo avvitato uno dei due connettori (per stringere il bullone internamente è necessario aiutarsi con delle pinzette perchè l’apertura nel collo è stretta), e, una volta tagliato di misura il tubo di acciaio, vi abbiamo fatto un foro passante, in modo da consentire lo scambio di CO2 tra connettori e ambiente. Montando il secondo connettore abbiamo stretto bene tutto (occhio a non stringere troppo per non deformare le guarnizioni) ed il risultato è che la boccia rimane molto rigida, dato che il tubo di acciaio punta sui due connettori e non le permette di deformarsi.

Ho chiuso e pulito tutto e poi ho iniziato a fare i primi test, mettendo dapprima in pressione la boccia chiusa con il suo tappo con guarnizione e teflon e successivamente mettendo in pressione tutto il fermentasaurus con l’ampolla montata e rubinetto aperto. Dopo qualche registrazione dell’avvitatura dei connettori (all’inizio erano troppo poco serrati e perdevano qualcosina) sono giunto al risultato sperato, con la perfetta tenuta della pressione del sauro per le 24 ore del test.

Come prova sul campo, ho prodotto una Session IPA, l’ho dryhoppata con 230 grammi di pellet (su 30 litri) e ho inserito e messo in pressione l’ampolla. In questa prima prova non ho effettuato bubbling, perchè mi interessava capire quale potesse essere l’apporto del semplice pellet lasciato fermo, quindi mi sono limitato a monitorare visivamente l’andamento dei 3 giorni di dry-hop a 18 gradi (come dico sempre, il fermentatore trasparente è molto didattico e permette di capire esattamente cosa succede all’interno). Avendo inserito il luppolo a metà fermentazione, ho notato che (per opera dell’azione del lievito o per la temperatura abbastanza alta) solo parte del “verde” è andato a sedimentarsi sul fondo, molto invece è rimasto in superficie e altro a galleggiare a metà fermentatore. Ogni tot ore ho mosso un po il fermentatore per rimandare in soluzione il luppolo in superficie con l’intento di aumentarne l’area di contatto.

Il risultato è stato molto soddisfacente e la birra è risultata ottima (ne sto bevendo a litri, sicuramente una delle migliori luppolate che ho mai prodotto). L’aroma è bello, ma un po scarico (distante da quando metto gli stessi 230 grammi di dryhop in fermentatore classico a fondo piatto). Questo mi ha confermato che la forma conica inficia la luppolatura a freddo e che le tecniche descritte sopra sono molto consigliate, se non necessarie.

Prossimamente farò altre prove introducendo la tecnica del bubbling e probabilmente anche immettendo il pellet un po alla volta, facendo magari 3 gettate di luppolo in pressione (con la tecnica descritta sopra). Vi terrò aggiornati sugli sviluppi.